E’ stato mattino.

Qui la vita mia, come quella degli altri è lenta. Lenta. Non triste, lenta.
Sveglia pigra con un po’ di tv per riprendere i contatti col mondo, le abluzioni, la colazione, la scelta della camicia  . . .
Poi l’edicola, il caffé con un amico, “eh  . . il tempo …”, ” ma chi? . . .il governo!”, qualche bella donna malandrina che si muove garbata e non guarda …
La passeggiata al corso, l’esame ‘dettagliato’ di quelle che a messa vanno per farsi vedere, l’impiegato dell’Inail interista caparbio, Tonino ‘Maradona’ che parla sempre del Napoli, Raffaele, cieco, ma guardialinea alle partite, quelli che corrono sempre, per smaltire, e qualcuno che va solo di fretta, sorridendoti, immerso nei suoi dolori.
Rivedi chi avevi ‘appena’ lasciato il sabato notte, suonando insieme un’aria antica ormai stanca di esser suonata. Giggino che strizza l’occhio sapendomi silenzioso complice: sa che non dirò di averlo visto scendere dalla ringhiera dopo che aveva violato l’ennesimo talamo nuziale . .  la ringhiera di Vittorina. Due colpi alla spalla di Peppino, struggente eterno innamorato della sua ‘Vita’ che dopo anni infelici, accanto ma non insieme, lo lasciò piangendo per andare a sposarsi, felice, in Australia. Ora che ci penso sono tutti muti, e fermi, che strano!
Ti riinfili nel vicolo dal quale prima eri uscito. Il solito silenzio, il solito silenzio condito dall’odore del solito soffritto di quel restio ragù che stanco sobbolle impigrito, senti dall’uscio una posata che cade, un bimbo che frigna, una mamma che sogna. Ma non li vedi. Del resto sai ben come sono.
Ti fermi sotto il solito albero da sempre al solito posto, rivedi le formiche indaffarate, i vermi pigri, qualche passero fugace. L’edera che dal fustino di pittura scala la facciata di Maikina che sognò l’america, senti il fruscio di un asciugamano steso che ha appena accarezzato i capelli corvini di una vedova, la mosca che ti aspettava.
Tu puoi sorridere di te e di tanta fortuna. Sai farlo? Scruti le nubi e accompagni un gatto che struscia una parete flessuoso, il piccione che frulla le ali posandosi, il geranio tardivo ed il Garofano Rosso, pendulo: il mio vero grande amore di sempre.
I rintocchi meccanici della cappella mi ricordano Romeo, il sagrestano, che ha preferito riposare per sempre.
Mi ricordo mio padre e la sua mano che prendeva la mia. Non ho avuto la stessa fortuna. Lo stesso coraggio.
Qui a quest’ora è l’ora degli abbracci. Ma come tutti son solo.

Vista

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